Massimo Carminati. Foto Wikipedia. |
Leggendo i quotidiani che tutti i giorni parlano di Carminati, descrivendolo quasi come una mente super, un nuovo Gelli del malaffare, rinchiuso nel carcere di Tolmezzo (Udine), per lui si chiede il carcere duro, ossia l’applicazione del 41 bis, ma senza quel popolo di corrotti presenti nelle varie fasce politiche che gli avrebbe permesso di esercitare il suo potere nella Roma che conta, chi sarebbe rimasto questo personaggio balzato alla ribalta per aver gestito imbrogli e truffe.
Da un approfondimento delle indagini potrebbe anche emergere che Carminati sia stata la persona giusta individuata dalla politica che facesse da tramite nella fitta rete dei personaggi corrotti, quelli che non si sporcano mai le mani proprio perché hanno il potere di delegare gli altri ai quali lasciano le briciole, i cosiddetti colletti bianchi, perché non sprecano sudore.
Compito duro anche per il presidente dell'Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, persona integerrima e apprezzata che in questo mondo dedito solo all’arraffo personale porrebbe risultare inerme e svuotato delle capacità dovendo combattere un nemico tanto potente come la politica italiana, altro che Carminati corruttore, il codice penale insegna che non c’è corruttore senza il corrotto, non c’è ladro senza il ricettatore, quindi bisogna arrivare ai corrotti e ai ladri senza fermarsi al corruttore.
È stato definito, capo della cupola mafiosa della capitale, ma la politica che stiamo conoscendo, avrebbe veramente permesso a un individuo come quello incriminato di decidere e gestire affari macroscopici all’interno della Capitale senza il proprio assenso, chissà, durante l’inchiesta potrebbe anche venire a galla che Carminati su indicazioni della politica romana, pagava gli scafisti affinché conducessero in Italia quei poveretti morti nel Mare Nostrum, perché gli esuli significano ricchezza per chi gestisce ancora oggi i centri di accoglienza seduti nelle poltrone del potere politico.
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