Si sta avverando una vera e propria rivoluzione nella giustizia, a provocarla è stata la circolare con cui il Procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, ha prescritto ai suoi pm di evitare l'iscrizione nel registro degli indagati rispondendo alla logica del cosiddetto atto dovuto.
Non basta, ha spiegato il magistrato, una «lettura meccanica» delle norme, ma occorrono «elementi indizianti di carattere specifico». Poiché, se è vero che l'iscrizione in un procedimento ha di per sé aspetti innegabilmente negativi, con effetti pregiudizievoli non indifferenti sia sul piano professionale che sulla reputazione.
Secondo il Procuratore Pignatone l’iscrizione stessa nel registro degli indagati basta da se a mettere un cittadino alla gogna pubblica rendendo l’individuo colpevole ancor prima di averne le certezze, e scatenando l’effetto della pena anticipata, erogata senza condanna e senza processo, come riportato dal quotidiano Il Mattino di Napoli.
La saggezza di un procuratore capo ha risposto a questa domanda che né i suoi colleghi né il legislatore si erano posti prima di oggi. E ha riscritto, almeno a Roma, le regole d’ingaggio nel rapporto tra la giustizia e il cittadino.
L’ha fatto ricordandosi che, in base alla legge, il magistrato inquirente deve cercare tanto le prove a carico quanto quelle a discarico dell'indagato. E quindi ha il dovere di restituire perfino al sospetto quel minimo di dignità che il sospetto merita, e che lo distingue dal fango.
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