venerdì 2 dicembre 2016

Il nostro comune amico ABEILS, illustra la sua profonda ideologia di quel Presepe che commosse anche il Grande Eduardo.

Le Allegorie, i Segni, i Simboli del presepe napoletano classico. L'importanza delle radici culturali del nostro patrimonio antropologico.

Il presepe può piacere o non piacere, ma il presepe deve piacere, poiché esso è la rappresentazione simbolica della nostra cultura.

Vi sono, è vero, personaggi storicamente inaccettabili, segni di puro paganesimo, il “sotto e il sopra” dell'animismo che li caratterizza, il conflitto eterno fra la religione (i dogmi) e la superstizione (la rivalsa), il senso quasi razionale dei miti greci e la natura che si compie nel suo ciclo logico: eterno ed immutabile.

Ognuno di essi è allegoria o metafora del nostro vivere quotidiano, delle nostre azioni e delle nostre ribellioni. Il presepe è' più infero che paradisiaco. E' speculare alla esistenza umana e il Sole (Gesù), portatore di rinascita, rende feconda la terra ed essa può finalmente sgravare il nutrimento per tutti.
Benino, (L'anno che verrà) si è addormentato sul presepe. Ha poggiato il bastone e si è appisolato. Ronfa in attesa del 31 dicembre.

Sa che di lì a poco occuperà il posto del vecchio pastore Armenzio, (l'anno che se ne va) incanutito durante lo srotolìo dell'anno che finisce.  L'Oste (Lucifero) spala pizze nel forno brulicante di fiamme rosse e lingue di fuoco ribelle.

Figura paterna quando inforna e figura infernale quando sforna anime dannate. Il Pozzo, di lato alla locanda, cela orribili segreti. La Sguattera tira la catena col secchio e urla: Acqua spumeggiante mossa cade giù traballante nel fondo ma non guardare: il diavolo ti cattura. L'acqua disseta ma il demone ti prende. C'è sempre un prezzo da pagare per ogni cosa ricevuta.
I Re Magi (il ciclo del giorno: dall'alba alla notte) mettili lontani dalla Grotta. Ci vuole ancora tempo per il Sole Invitto  (Gesù). Falli avanzare lentamente. Il loro cammino s'arresta giusto nel solstizio d'inverno quando  il raggio è più lontano. -

L'invidia della Seppella (Sibilla Cumana) si avvicina innanzi  alla Grotta e alla Madonna.  Si strappa i capelli e ringhiando fugge via, disillusa dalla Vergine Maria. Non era Lei, la Sibilla, che doveva partorire. Il Fornaio impasta farina col lievito madre. Forme di pane tonde e lunghe. Disegna il cazzillo fra le cosce di pane del bambino e fa uno spacco nel mezzo delle cosce della bambina. Il Creatore ha generato la vita terrena.

La Filatrice di lana (Le Parche, figure mitologiche che dipanano la nascita, la vita, la morte) è intenta col capo chino a sgomitolare fili sottili, rassegnata al ruolo sgomento di chi ha compreso la brevità dell'esistenza.
Pecore percorrono il Ponte, passaggio dalla vita alla morte, ma l'acqua che scorre sotto segnala la protezione del cielo. Il Cacciatore imbraccia un archibugio e mira minaccioso un punto indefinito e, appena sotto, vi è il Pescatore con le sue reti, allegoriche figure del mondo celeste (sopra) ed il mondo infero  (sotto).

I Pastori badano al gregge che rumina erba (anime del purgatorio guidate da pseudo-angeli), mentre le Lavannare (lavandaie) implorano il Sole: “Jesce sole nun cè fa chiù suspirà” canto quasi erotico,  liberatorio delle pulsioni sessuali. La Zingara (cioè la Profezia) indossa abiti sgargianti ed è in posa ammaliatrice.

La processione delle Donne Questuanti che si recano alla grotta (il Mistero) cantano il mondo che si rovescia: dal buio alla luce: “ Quanno nascette o ninno, era mezzanotte ma pareva miezzojurno”.Il gruppo dei Mori saraceni in assetto bellicoso, sono qui esorcizzati dal terrore inculcato nei secoli passati, mediante statuine immobili, quasi a rallentare per sempre le loro scorrerìe. La lunga categoria dei mestieri è il riconoscimento del ciclo annuale.

Macellai e salumieri (gennaio) Casaro (febbraio) Pollivendolo (marzo) Venditore di uova (aprile) Venditore di ciliege e frutta (maggio) Panettiere (giugno) Pomodoraio (luglio) Cocomeraio (agosto) Venditore di fichi (settembre) Vinaio (ottobre) Castagnaio (novembre) Pescivendolo o Pescatore (dicembre). Tutto è rappresentato secondo la Natura, secondo lo scorrere del tempo, in armonia e rispetto per essa: l'unica vera divinità alla quale bisognerebbe essere devoti.

Ma tant'è Il presepe rappresenta un mondo arcaico, pagano, fatto di personaggi confusi nella loro storicità, tessere che sovrappongono il mondo nascosto a quello  reale, una perfetta letteratura della condizione umana nelle sue positività e negatività...

Ora, alla luce di quanto esposto, s’intende sottolineare che tale articolo  non vuole essere la banale e compiaciuta esegesi della tradizione folkloristica legata all'evento della nascita del Cristo. Anzi. Il fondo di questo articolo è amaro e vuole  porgere il destro per alcune considerazioni sul nostro rapporto con la cultura e la conoscenza delle nostre radici. Non vi è alcun popolo dotato del tesoro che i nostri avi hanno accumulato e trasmesso. Non vi è alcun popolo così ricco di filosofia e creatività.

Ma, di tutto questo noi non ne siamo consapevoli. Se da un semplice presepe ci derivano metafore esistenziali, significati profondi che, spesso la grande letteratura anela a rintracciare, noi, di questo, ne dovremmo essere felici. Eppure non succede. Non succede per il semplice fatto che non conosciamo appieno le nostre radici. Tale tesoro non può andare disperso e deve essere il motivo fondamentale dell'appartenenza a queste terre.

Bisogna lasciarsi catturare dalla “bellezza” perché attraverso essa ci si può riscattare dal destino storicamente deciso da forze a noi estranee. A cominciare dal sacco dei Savoia e dagli ultimi Borboni, da una classe politica ottusa e tardo-feudataria, dalla spartizione decisa al nord da Cavour e dal generale Nino Bixio docet: non basta uccidere questo popolo, bisogna squartarlo, straziarlo, bruciare vivo a fuoco lento.

E' un paese che bisognerebbe spopolare e mandare in Africa per civilizzarli. Il male maggiore è stato quello di imprimere per sempre nelle coscienze che tutto quello che era dato era quasi una “regalìa” e mai un diritto. Ecco questa è la conclusione: “sapere, sapere, sapere” per abbattere la risata cinica e in malafede di chi ci costringe a “pensarci” non affidabili.

Non esiste una cultura superiore ad un'altra cultura ma esiste, ed appartiene a noi, l'inestimabile forziere della civiltà storica, antropologica ed eroica delle nostre terre.

R. ABEILS

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